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LINGUE SCIOLTE “Neve”

Scritto da il 23 Novembre 2017

Figliocci del Locale crescono decennio dopo decennio e crescono bene anche lungo l’A24 Roma-L’Aquila dove trovi le Lingue Sciolte e il loro disco di debutto “Neve” uscito lo scorso maggio e riproposto da Macramè in questa fine del 2017, annunciato da una title-track come singolo radiofonico. Una canzone “nata improvvisamente in sala prove, corta, tutta d’un fiato, cantata e suonato nel modo più intenso e urgente possibile”.
Siamo le Lingue Sciolte e sussurriamo, a volte, le parole più disperate” recita la loro biografia brevilinea come le sette tracce mai sopra i tre minuti di un lavoro fra pop e rock decisamente da manuale. Concise e senza sbavature, dense e leggere, le canzoni di questi quattro aquilani – grazie anche alla collaborazione di Luigi Tarquini di ALTI Records in fase di produzione – ritagliano una cifra personale all’incrocio fra il cantautorato settantiano, i Novanta romani e un mood contemporaneo di chi a cavallo dei trent’anni lascia la cameretta e si affaccia inquieto sulla vita adulta per coglierne tutta l’intensità.

Sanno usare bene le parole le Lingue Sciolte, lasciano che si rincorrano lungo le dorsali di melodie a presa rapida o in appoggio a pianoforti emozionali, con qualche stridore di chitarra saltuario e un lavoro mai invasivo ma dinamico di basso e batteria. Le tracce accarezzano e accelerano, gli stop sono quasi improvvisi e definitivi, la voce leggermente arrochita tradisce un’inflessione abruzzese che sa veracemente di vino, chitarre, amori che vanno e vengono. Al fondo un’intenzione popular mai troppo smaccata che però s’infila facilmente sottopelle, vuoi per un’intuizione filmica appena accennata ma efficacissima (l’elettro-pop “Woody Allen”), vuoi per l’albeggiare rabbioso di un ragazzo che ha incontrato la polizia nel momento sbagliato (“Era mattina”), vuoi per una capacità di ritrarre figure con poche pennellate ed essere molto credibili (“Beatrice”). Vuoi soprattutto per il calibratissimo lavoro di scrittura melodica a cui corrisponde quello sugli arrangiamenti, buon artigianato di pesi e contrappesi senza oltraggi al buon gusto che scontorna i suoni e i versi come di rado accade.
Figliocci del Locale crescono decennio dopo decennio e crescono bene anche lungo l’A24 Roma-L’Aquila dove trovi le Lingue Sciolte e il loro disco di debutto “Neve” uscito lo scorso maggio e riproposto da Macramè in questa fine del 2017, annunciato da una title-track come singolo radiofonico. Una canzone “nata improvvisamente in sala prove, corta, tutta d’un fiato, cantata e suonato nel modo più intenso e urgente possibile”.
Siamo le Lingue Sciolte e sussurriamo, a volte, le parole più disperate” recita la loro biografia brevilinea come le sette tracce mai sopra i tre minuti di un lavoro fra pop e rock decisamente da manuale. Concise e senza sbavature, dense e leggere, le canzoni di questi quattro aquilani – grazie anche alla collaborazione di Luigi Tarquini di ALTI Records in fase di produzione – ritagliano una cifra personale all’incrocio fra il cantautorato settantiano, i Novanta romani e un mood contemporaneo di chi a cavallo dei trent’anni lascia la cameretta e si affaccia inquieto sulla vita adulta per coglierne tutta l’intensità.
Sanno usare bene le parole le Lingue Sciolte, lasciano che si rincorrano lungo le dorsali di melodie a presa rapida o in appoggio a pianoforti emozionali, con qualche stridore di chitarra saltuario e un lavoro mai invasivo ma dinamico di basso e batteria. Le tracce accarezzano e accelerano, gli stop sono quasi improvvisi e definitivi, la voce leggermente arrochita tradisce un’inflessione abruzzese che sa veracemente di vino, chitarre, amori che vanno e vengono. Al fondo un’intenzione popular mai troppo smaccata che però s’infila facilmente sottopelle, vuoi per un’intuizione filmica appena accennata ma efficacissima (l’elettro-pop “Woody Allen”), vuoi per l’albeggiare rabbioso di un ragazzo che ha incontrato la polizia nel momento sbagliato (“Era mattina”), vuoi per una capacità di ritrarre figure con poche pennellate ed essere molto credibili (“Beatrice”). Vuoi soprattutto per il calibratissimo lavoro di scrittura melodica a cui corrisponde quello sugli arrangiamenti, buon artigianato di pesi e contrappesi senza oltraggi al buon gusto che scontorna i suoni e i versi come di rado accade.
Un ricamo acustico dolceamaro che si apre in un ritornello arioso per “Mi piaci solo d’estate”. Un luccicare d’occhi sui tasti bianchi e neri di una ballad di cuore come “Solo di te”. Un lavorio sui dettagli riscrivendo a proprio modo la classicità su “Indipendente”. “Neve” titola il tutto per la spontaneità con cui è nata in sala prove, quando accade quel qualcosa di magico che è un segnale da seguire. Ed è nella voglia di farle diventare non sette queste canzoni, ma quattordici ventuno ventotto che si giustifica la copertina bianca quasi crampsiana. I brani delle Lingue Sciolte non hanno bisogno di trucchi visuali, parlano da sé e parlano proprio bene. “Neve” lo ascolti una volta e quando arrivi in fondo vuoi rimetterlo su ancora.
Un ricamo acustico dolceamaro che si apre in un ritornello arioso per “Mi piaci solo d’estate”. Un luccicare d’occhi sui tasti bianchi e neri di una ballad di cuore come “Solo di te”. Un lavorio sui dettagli riscrivendo a proprio modo la classicità su “Indipendente”. “Neve” titola il tutto per la spontaneità con cui è nata in sala prove, quando accade quel qualcosa di magico che è un segnale da seguire. Ed è nella voglia di farle diventare non sette queste canzoni, ma quattordici ventuno ventotto che si giustifica la copertina bianca quasi crampsiana. I brani delle Lingue Sciolte non hanno bisogno di trucchi visuali, parlano da sé e parlano proprio bene. “Neve” lo ascolti una volta e quando arrivi in fondo vuoi rimetterlo su ancora.


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